17 June 2010

Corrispondenze 2


17 dicembre 2008

Tengo lo sguardo basso di chi guarda per rubare

e immagino il male.


Ciò che mi dà sollievo.


Ti vedo, goffa e sporca, galleggiare nel tuo putridume,

abbaiare con rabbia

e dopo qualche guaito smettere per accidia.


Vi vedo villani e debordanti,

a caccia di definizioni facili

e di virili schiamazzi.


Ho imparato a dipingere, sai?

Ed ogni sera delineo i paesaggi che posso solo fantasticare.


Miscelo sputo e colore

perché per rimanere così lontano,

qualcosa la devi pur odiare.

Corrispondenze 1


3 dicembre 2008

Mi amigo,

le cose che s'impongono per rarità
in ciò che chiamiamo vita

[considerando vita il lavoro che ci tiene sazi e spenti
la fretta nei saluti
le convenzioni
e la rassegnazione dei sogni]

vanno strette forte
lasciando il segno delle unghie

ci potremmo interrogare senza riposo
sulla nostra inadeguatezza nei confronti del raro

o potremmo idolatrare il caso che in quel punto ci ha condotti

nel luogo in cui meno coraggio si sarebbe trasformato
nell'appagante sensazione di avere maggiori libertà

ma il raro ci ha attraversato
e non esiste libertà maggiore del concedersi generosamente


[ma non dire che ho detto di aver pensato alla morale

perché nulla di morale c'è nell'esistenza umana

è solo la paura che mi fa parlare così]



25 April 2010

Odio gli Indifferenti.

Prendo in prestito parole che hanno attraversato quasi cent'anni di storia per augurare a tutti un buon 25 aprile.

Testo: libero riadattamento del capitolo sugli indifferenti de "La città futura" di Antonio Gramsci (1917-1918)
Qui trovate il testo completo.

Musica: Leonard Cohen e Noir Desir ne "Le chant des partisans"


P.S.: il lettore che ho usato non è dei migliori per cui se mentre ascoltate la traccia audio, ve ne andate a spasso su altri siti, non tornate indietro alla pagina del blog perché la riproduzione s'interromperà e dovrete riascoltare tutto da capo. Sorry for that :(




22 March 2010

The fall of 1960


Sono fatta così, non ci posso fare niente. Prima di tutto le parole. O meglio i titoli. Sono loro che influenzeranno il mio giudizio su un libro, un film, un pezzo musicale. è così che ho deciso che 'A guide to recognize my saints' di Dito Montiel sarebbe stato uno di quei film che non ti dimentichi prima ancora di vederlo e che 'Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares' di Fernando Pessoa mi avrebbe lasciato tracce profonde prima ancora di annusarlo. Nello stesso modo ho stabilito che la mia canzone preferita del nuovo album dei Canadians è l'ultima, Open letter to an alpine marmot. Potete comunque farvi la vostra idea ascoltando l'intero album 'The fall of 1960' in anteprima assoluta a circa due settimane dalla data d'uscita del disco nei negozi, ovvero il 9 aprile 2010. Enjoy it!


P.S. E già che ci siete date un'occhiata alle foto scattate da Sciain http://www.flickr.com/photos/sciain/, autrice del magnifico scatto in copertina.

17 March 2010

Sono le piccole sorgenti scure.




Sono le piccole sorgenti scure,
quelle da cui attingiamo acqua
come se fosse terra di cimitero per i nostri ideali.

Sono macchie brillanti di lacrime di sale.

Scavano il viso ad ogni percorso sempre uguale
dalle piaghe profonde della nostra paura
alla consapevolezza fattasi sterilità.

C'è stato un tempo in cui amavo.
C'è un tempo in cui proseguire il cammino iniziato è la priorità.

Ho lasciato a terra il cuore che mi appesantiva il bagaglio
e a stento mi volto se mi chiamano,
tanta è la stata la furia di darmi un nome nuovo.


L'alito dell'uomo nero.


Ho impiccato il coniglietto


Grazie alle sue fredde mani

Tra le cosce


Ho impiccato il coniglietto


Mentre cercavo

Di schivare le sue premure


L’ho bloccato e legato stretto


Fissavo la parete blu

E il quadro con le caricature

Per non capire


Ho catturato la bambola di pezza


Le ha preso le trecce

E le ha strette intorno alla sua bocca

Per non farle chiamare aiuto


Ho catturato la bambola di pezza


Neanche io potevo chiamare aiuto

La voce bloccata dalla sua perversione


Ho impiccato la bambola di pezza


Il sudiciume dei suoi pensieri

Spalmato addosso a me


Ho ingannato l’orsacchiotto


Aria nelle orecchie

Alito caldo sul volto

Troppo vicino

Troppo


Ho ingannato l’orsacchiotto


Pratiche adulte

Nell’attesa di Babbo Natale


Ho impiccato l’orsacchiotto


Aveva visto tutto

E sapeva troppo

Via da me.




Fra anni guardandomi alle spalle


Mi vedrò camminare
abbronzata
su un tappeto di petali viola,
in una stradina larga quanto me
e lunga quanto l’infinito.
sola


Mi vedrò fare l’amore
ubriaca
su una piattaforma nel mare,
seduta sulla mia passione
e circondata da un’impalpabile placenta,
che filtra la luce per non disturbarmi.
sola


Mi vedrò rotolare
sudata
giù da una montagna di sabbia,
mentre il vento deforma i paesaggi
e i percorsi amici s’intrecciano
senza toccarsi mai.
sola


Mi vedrò esplorare lo spazio
cieca
in cerca di quel abbraccio
che chi non mi conosce
mi da in cambio di anice e cannella.
sola


Mi vedrò parlare
in lacrime
ad un telefono che non capisce
che non sono stata vigliacca.
E mi colpisce con parole roventi
che fanno sanguinare gli occhi.
sola


Mi vedrò spogliarmi
innamorata
per fargli capire che
ora che mi ha preso
mi deve tenere,
anche se il gioco non lo diverte più.
sola


Mi vedrò accarezzare nella luna
elettrizzata
dove cielo e mare sono noi
ed intorno un brusio multiforme
isola ed amplifica.
sola


Perché prima o poi ve ne andrete tutti via.


15 February 2010

Maschere di lava.



Sorprendo i miei loop con domande puntuali.
Mi afferro per le spalle e stringo la chiarezza che tenta di sfuggirmi.

Tutte le storie di questi ultimi dieci anni si depositano
sul fondo di una bottiglia che vedo mezza piena.
Svuotarla sarebbe dissacrare il mio ventre.

Ci sono cose che debbono essere conservate
per tutto il tempo necessario a capire a cosa siano servite.
Così sono queste storie.

Offuscate, ingrandite, addobbate a festa, ridicolizzate, truccate.

Lapilli improvvisi schizzano dal collo della bottiglia per venirmi in aiuto.
Per offrirmi una maschera nelle debolezze quotidiane.

Nella miseria di evitare quelle domande che insinuano.
Le domande che offendono più degli insulti.
Che s’infilano come schegge nel mio vuoto d’identità.

Ecco le mie storie,
la mia storia, non mi può mentire.

La devo poter stringere ogni volta che ne sentirò l’assenza.


[Foto di Eugenia Vagnetti
http://www.flickr.com/photos/tiger_lily/ ]

Datemi terra.


Guardare gli album degli sconosciuti ha un effetto catartico.

Dimostra che la vita di molti è accerchiata.


Sprecata.


In foto da manichini.

In scambi leggeri.

In acquisti freddi.


Datemi terra, vi prego.

E lo sporco delle vostre scarpe.